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Lavorare nell’era dell’Industria 4.0: una questione di competenze


Il processo di trasformazione digitale che le imprese sono chiamate ad affrontare per essere competitive e protagoniste sui mercati non è solo una questione tecnologica, ma è una questione di competenze. Gli effetti della quarta rivoluzione industriale, come abbiamo avuto di approfondire nel primo post blog dedicato al tema dell’Industria 4.0, sono dirompenti per le aziende, per la società e profondi anche sul mercato del lavoro. Il legame tra innovazione e occupazione è infatti molto stretto.

Una produzione industriale completamente automatizzata e interconnessa, con l’introduzione delle nuove tecnologie (Interne of Things, robotica/automazione, stampa 3D, realtà aumentata, economia dei dati,intelligenza artificiale, cloud) cambia i modi di produrre ma cambia anche i modi di pensare e di fare impresa. Prima di essere una rivoluzione tecnologica è una rivoluzione culturale quella che devono compiere le aziende e al centro di queste evoluzioni ci sono le persone. I lavoratori che son chiamati a far funzionare i macchinari, i lavoratori che devono gestire e innovare i processi.

Il piano del Governo sull’Industria 4.0 sottolinea come misura strategica l’importanza del capitale umano che deve essere aggiornato e al passo con le nuove competenze tecnologiche richieste.

Come cambia il mondo del lavoro

Digital disruption o digital transformation? Da molto tempo esperti si confrontano sulle conseguenze della quarta rivoluzione industriale su mercato del lavoro, prospettando scenari opposti. Da un lato c’è chi ipotizza che la digitalizzazione e l’automazione distruggeranno posti di lavoro. Il report 2016 del World Economic Forum presuppone la perdita di 7,1 milioni posti di lavoro a livello globale, perdite parzialmente compensate dalla creazione di 2,1 milioni di nuovi posti in comparti sempre più specializzati. L’indagine di Manpower “Skill Revolution” presenta uno scenario diverso, proprio dalla digitalizzazione e dallo sviluppo di nuove competenze, soprattutto per le imprese italiane si creerà un incremento dei posti di lavoro prevista tra il 31% e il 41%.


Come trasformare la sfida in opportunità

Il primo passo è la formazione sia per chi dovrà entrare nel mercato del lavoro, sia per il personale già presente nelle aziende. Potenziare quindi il legame tra mondo dell’istruzione, università , ricerca e impresa per creare profili coerenti con ciò che il mercato chiede. L’aggiornamento, rafforzamento, adeguamento dei dipendenti per riqualificare diverse professionalità e ridisegnare modalità lavorative deve essere il punto di partenza delle imprese che vogliono vincere la partita della nuova rivoluzione industriale. Formazione continua e costante per fornire competenze che procedano di pari passo con i cambiamenti della fabbrica intelligente. Una trasformazione che deve riguardare tutti i livelli aziendali, dall’imprenditore all’impiegato, dall’operaio al manager. Accanto alle competenze digitali, alla capacità di lavorare con i dati , saperli leggere, analizzare e classificarli imprescindibili sono le skill comunicative, di creatività, di leadership, di relazione.

Nel Rapporto Ocse “La Nuova Rivoluzione industriale: implicazioni per i governi e per le imprese” si sottolinea “la padronanza delle nuove tecnologie di produzione promette di favorire una produzione più ecologica, più sicurezza sul lavoro (i lavori pericolosi saranno svolti da robot), prodotti e servizi innovativi e più personalizzati e una crescita più rapida della produttività. Si legge inoltre che “la diffusione delle tecnologie deve includere non solo l’hardware ma anche gli investimenti immateriali complementari e il know-how, necessari per sfruttarle appieno, spaziando dalle competenze alle nuove forme di organizzazione aziendale”.

Importante quindi “ideare sistemi efficaci sia per l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita sia per la formazione sul posto di lavoro, in modo che l’aggiornamento delle competenze possa essere in linea con il rapido ritmo dei cambiamenti tecnologici”. Ma accanto alle competenze digitali e tecnologiche che integrano le macchine è importante “garantire che tutti i cittadini possiedano solide qualifiche generiche e di base ‒ come l’alfabetizzazione, la matematica e il problem solving ‒ essenziali per acquisire delle competenze specifiche in rapida evoluzione”.

Da una recente survey condotta da PwC le imprese italiane sembrano consapevoli che la mancanza delle giuste conoscenze può frenare il processo di rinnovamento, infatti se da un lato emerge che è in netta crescita la quota del fatturato che le aziende investiranno in Industry 4.0 nei prossimi 5 anni, il 56% delle aziende italiane è interessato agli incentivi fiscali 2017, ma permangono dei fattori inibitori che ostacolano il processo di digitalizzazione dei processi operativi, tra i principali: per il 23% dei rispondenti è la mancanza di cultura digitale e formazione.


Cosa possono fare le aziende?

Molte aziende ignorano l’opportunità della formazione finanziata dai fondi interprofessionali: formazione del proprio personale in modo completamente gratuito. Programma Sviluppo da oltre 15 anni è accanto alle imprese che vogliono crescere, innovare costruendo percorsi su misura per i lavoratori in linea con gli obiettivi e le esigenze specifiche della realtà aziendale, un’occasione a costo zero, senza alcuna forma di anticipazione da parte dell’impresa.

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